MUSEE ORSAY, Manet Olympia Sala 14

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Quando quest’opera di Manet fu esposta per la prima volta nel 1865 al Salon di Parigi, suscitò reazioni molto contrastanti. Diversi spettatori, infatti, ritennero il dipinto osceno, volgare, perché rappresentava chiaramente una prostituta, un soggetto assolutamente scandaloso per la borghesia perbenista dell’Ottocento.

Devi sapere che il pittore si ispirò ad un famosissimo dipinto di Tiziano Vecellio, la Venere di Urbino, oggi esposto agli Uffizi di Firenze, dove la dea della bellezza è raffigurata come una giovane donna, elegantemente distesa su un letto, con ai piedi un cagnolino, simbolo di fedeltà coniugale. Ma Olympia si scosta enormemente dal soggetto a cui si ispira e dai canoni di bellezza idealizzata dai predecessori di Manet.

Se osservi con attenzione l’opera, puoi scoprire tutti gli indizi che fanno intuire la professione della protagonista, a partire dal nome Olympia, al tempo molto usato come nome d’arte da ballerine e prostitute. Poi ci sono: il mazzo di fiori, probabile dono di un ammiratore; il gatto nero ai piedi della ragazza, simbolo erotico legato alla sessualità femminile; l’orchidea fra i capelli della giovane, i gioielli e il sandalo col tacco che rappresentano la sensualità. Se guardi bene il letto, inoltre, noterai che è chiaramente sfatto e Olympia è ritratta in una posa che ricorda tanto alcune cartoline osé che circolavano illegalmente all’epoca.

A Manet non fu contestato solo il soggetto del dipinto, ma anche la tecnica pittorica. Secondo i suoi detrattori, il corpo della protagonista risultava piatto perché i colori e i chiaro scuri non mettono in risalto la tridimensionalità delle forme del corpo....

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